martedì 4 giugno 2024

Amarcord


 I sei peggiori allenatori del Napoli

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6 - Massimo Giacomini 

Nella estate del 1982 Juliano, che con Ferlaino ha un rapporto controverso già da circa 20 anni, non è più il dg. Tornerà in seguito. Ma intanto il nuovo primo dirigente è Beppe Bonetto, con Franco Janich come ds. I due riescono ad imporre a Ferlaino il tecnico che sostituirà Marchesi. È Massimo Giacomini, che tanto bene aveva fatto all’Udinese, bene al Milan in B e benino al Torino. Gioco a zona e calcio fluido. Ferlaino che ha invece sempre prediletto tecnici concreti, si starà ancora chiedendo come abbia fatto a seguire quel consiglio. Oltretutto Giacomini aveva un carattere chiuso ed a Napoli fu subito rigettato come uno che va da Nennella a chiedere il parmigiano sugli spaghetti a vongole. 

Certo, anche Bianchi e Marchesi erano schivi e "musoni" , ma al contrario di loro Giacomini appariva totalmente impreparato ad una piazza incandescente come quella napoletana. Anzi, addirittura intimorito. Insomma Giacomini non era pronto per una una piazza rumorosa dove il calcio era vissuto h24. 

Gli prendono Diaz, stella Argentina che lui deve solo innescare accanto a Pellegrini.

Pronti via e il Napoli si accappotta. 

Fino ad una rumorosa sconfitta in casa contro la Roma con la folla imbestialita del San Paolo che lancia pietre ed un aereo con la scritta "Ferlaino vattene, Juliano torna" a volteggiare sullo stadio. 

A Novembre, dopo la sconfitta di Cagliari, con un gioco che lasciava increduli per una formazione che solo due anni prima (quando sulla carta era persino più debole) lottava per lo scudetto, il Napoli su ritrovava ultimo in classifica, a pari con il Catanzaro, a - 4 dalla salvezza. 

Esonero di Giacomini e formazione affidata al team Pesaola e Rambone. 

Sarà una salvezza molto sofferta. Giacomini non riuscirà ad imporsi su nessuna altra piazza. Resta il ricordo di un uomo perbene, colto, sempre vestito di nero come i suoi capelli, mai sorridente, uno che aveva grandi idee ma poi faceva giocare il Napoli talmente male che non si poteva guardare. Uno che a Napoli veramente non ci ha capito nulla. 

5 - Pietro Santin

Con il ritorno di Juliano, nello scegliere il nuovo tecnico, non si poteva ripetere l'errore fatto con Giacomini. Fu scelto un tecnico "a chilometro zero". Pietro Santin aveva sempre allenato in C, prevalentemente in campania. A 50 anni era divenuto il principale artefice del miracolo Cavese, portata fino alla B e capace per due anni di giocare per la Serie A giocando un ottimo calcio. Fu una intuizione di Juliano, il quale in lui vedeva un tecnico capace di far giocare bene la squadra e lanciare i giovani. Per lui si rinunció a Pesaola il quale, dopo aver salvato il Napoli, sarebbe rimasto volentieri. 

Santin a Napoli, stagione 1983-84, avrebbe trovato Dirceu e poi tanti fichi secchi per farci un banchetto di nozze da Casale, a Frappampina. Si portó Caffarelli, cresciuto con lui a Cava. Avrebbe voluto un suo fedelissimo, tale Guida, libero cavese, perché Krol era infortunato al ginocchio e non assicurava un pronto recupero. Juliano gli prese Masi e questi diverrà un po' il pomo della discordia tra Santin che voleva imporlo titolare, ed invece Juliano (con Ferlaino una volta tanto d'accordo con lui), nel pretendere Krol titolare. A gennaio ‘84, per la partita con la Fiorentina, per coprirsi ulteriormente lascia fuori Rudi Krol. Lancia titolare lui, Marco Masi, inimicandosi l'olandese. 

Santin deve difendersi dall’accusa di aver di fatto chiuso la carriera dell’olandese. Ma immagina che il contratto non gli sarà rinnovato e pensa di non aver più nulla da perdere. È un ottimista perché a fine campionato non ci arriva neanche. Tre sconfitte consecutive con Krol in tribuna, tra cui il derby di Avellino. Il ko interno contro l'Inter a marzo 1984 è fatale. Torna Rino Marchesi. 

Il sogno di un calcio frizzante e giovane con un allenatore emergente è durato solo sette mesi. 

4 - Roberto Donadoni

Reja è stato il tecnico che ha traghettato il Napoli dalla C alla A sino alla qualificazione in Europa. Ma dopo 4 anni, nel marzo 2009, il suo ciclo si poté dire chiuso. Per recuperare una situazione che vedeva il Napoli perdere posizioni in campionato, De Laurentiis chiamó Roberto Donadoni. 

“Ci siamo  conosciuti quattro anni fa grazie a una mia zia che è sua vicina di casa. Donadoni è il tecnico per impostare il mio secondo quinquennio da presidente”. 

Praticamente diceva che lo aveva scelto da solo senza il parere dell'allora dg Pierpaolo Marino. 

Alla prima a Reggio Calabria in panchina ci va con una tuta e con De Laurentiis sedutogli accanto. Finisce 1 a 1.

In seguito indosserà giacca e cravatta ma il Napoli non svolta. 

Vince appena due partite (di cui una prestigiosa contro l'Inter) nelle ultime undici giornate del campionato 2009-10. 

Nella stagione successiva gli si costruisce una squadra ampiamente rinnovata con Quagliarella come acquisto di punta. 

Sin dalle prime uscite stagionale il suo Napoli non convinceva. 

Era una buona squadra ma con equivoci tattici evidenti. Quagliarella non trovava la giusta collocazione tattica. Punta? Si e no. Forse meglio Denis in avanti e lui dietro, ed allora Lavezzi? Poi due esterni destri e nessuno di ruolo a sinistra. Donadoni provó ad adattare Zuniga con risultati disastrosi perché ovviamente ci voleva tempo. Tentó con Datolo, ma non era un esterno che per passo ed abitudine potesse coprire tutta la fascia.

Se ne lamentava incassando però la replica stizzita del Presente. «L'esterno sinistro lo comprasse lui» . 

Pareva mancare la concentrazione. De Sanctis a pasticciare, Cigarini a svolgere il compitino. Spogliatoio spaccato tra sudamericani e italiani. 

Due rovesci in campionato e la partita casalinga con il Siena era già decisiva per le sorti del tecnico. 

De Laurentiis non fece nulla per nascondere la propria ira, soprattutto verso Donadoni e Marino: «Non possiamo andare avanti così». 

Gli rintuzzó Donadoni: ««Il Presidente dice che mi ha affidato un Napoli fortissimo ma non mi pare che sia arrivata gente da Barcellona o Real Madrid»

Dopo la sconfitta casalinga contro la Roma (1-0), con sette punti in sette partite, venne esonerato, stessa sorte toccó a Pierpaolo Marino. 

De Laurentiis come al solito si dichiaró spiaciuto per l'esonero: “Io e Donadoni abbiamo idee diverse”. Lui rispose diretto: “De Laurentiis è un vulcano che conosce poco il Calcio ed il nostro mondo”.

Capitò nel momento in cui De Laurentiis decise di gestire in proprio il Napoli. Il suo ingaggio ed il suo esonero erano stati decisi solo da lui. Donadoni a Napoli, per colpe sue, ebbe un passaggio a vuoto che ne avrebbe condizionato la carriera. 

Il fatto poi che dopo di lui Mazzarri fece immediatamente benissimo non fece altro che dilatare le sue colpe.

3 - Andrea Agostinelli. 

Al secondo anno di presidenza, estate 2003, tra una messa in mora, una intimazione di pagamento ed un affannoso reperimento di liquidità , Naldi volle tentare il tutto per tutto per tornare in Serie A. Quindici acquisti e quattordici cessioni. Un girotondo di facce oramai consueto perché il Napoli si rivolgeva a prestiti e comproprietà che non era poi in grado di confermare. Il tecnico prescelto era Andrea Agostinelli. Un buon trascorso da giocatore, di passaggio (9 presenze) anche da Napoli, una carriera da allenatore di B tra Pistoiese e Ternana, un esonero in A con il Piacenza. Questo il suo curriculum. Non era certo l'allenatore che ci aspettava ma ce lo mandava direttamente il figlio di Moggi. 

Il caschetto biondo non lo aveva più, ma lo sguardo giovanile non lo aveva perso. "Convincerò i Napoletani che sono l'allenatore adatto. Il mio obiettivo è portare quanti più uomini nella metà campo per innescare le punte e segnare molto". Ora, direte voi, era colpa sua se le punte da innescare, oltre un Dionigi con problemi fisici, erano Max Vieri e Gianluca Savoldi, brutte copie dei rispettivi fratello e padre? No. Inoltre i tifosi oramai della B non ne potevano più e con due punti in tre partite gia presero a contestarlo. Poi arrivó la tragedia di Avellino, con la morte di un tifoso, lo 0-3 a tavolino e 5 turni a porte chiuse in campo neutro. La morte del Napoli, praticamente. Tante cose a discolpa di Agostinelli che però ben lungi dal gioco propositivo badó innanzitutto a non prenderle, presentando una manovra della squadra in campo francamente imbarazzante. Tredici partite, una sola vittoria, una sconfitta in campo ed una a tavolino, dieci pareggi. Nel campionato dei tre punti a vittoria significava zona retrocessione. Fu sostituito da Simoni. Non fu tutta colpa sua, ma come tecnico poi non ha combinato più nulla. 

2 - Giovanni Galeone 

È stato il profeta del Pescara portato in A con un gioco che induceva ad essere guardato. A Napoli però il Pescara di Galeone, al primo anno di A, le prese di santa ragione con un tennistico 6-0. Ciononostante la salvezza agevole fece di lui, nativo della provincia di Napoli, uno dei papabili a sostituire Bianchi sulla panchina del Napoli. Era in voga il calcio spettacolo si Sacchi al Milan, quello di Maifredi al Bologna, magari qualcuno accarezzava l'idea di importare il modello con lui sulla panchina del Napoli. Galeone poteva essere un Sarri anni '80, chissà.. anche se conoscendo Ferlaino ho difficoltà a credere che fosse più di un pensiero effimero. Sta di fatto che la storia finí quando il Pescara al San Paolo bissó il cappotto dell'anno prima, anzi questa volta i gol presi furono addirittura 8.

E di Galeone al Napoli non si parló più. 

Continuó ad allenare tra Pescara e Perugia. 

Nella stagione 1997-98, a novembre, con soli 4 punti dopo 10 giornate, il Napoli era già al terzo allenatore. Bruciato Mutti, persino un guerriero come Mazzone aveva gettato la spugna. Ora toccava proprio a lui, a Galeone.

"Salvo il Napoli e mi ritiro" annunciò Galeone.

Ennesima rivoluzione. Volle Allegri e Asanovic rinunciando a Giannini che almeno rispetto a questi due era un giocatore di calcio. 

Il 30 novembre 1997 il Napoli attendeva la Fiorentina in una situazione nera come il cielo sopra il San Paolo.

Fu l'inizio della definitiva agonia. Il buon Galeone avrebbe raccolto un punticino inutile.

Nelle successive 9 non ne vinse nemmeno una, prese 4 reti in casa dal Parma e 3 dal Brescia. Fu esonerato dopo un allucinante 0-5 ad Empoli. Di quella debacle del Napoli che considero tra i punti più bassi mai toccati, quello che più ricordo sono gli occhi perduti nel vuoto di Galeone. 

Come abbia potuto pensare il Napoli di salvarsi con uno come Galeone è un mistero. È arrivato nel caos, e questa è una  scusante. Però ha anche fatto arrivare Allegri e lo faceva pure giocare. E questa è una doppia aggravante. 

1 - Renzo Ulivieri 

Il Napoli, praticamente a gennaio 1998, era già in B. Occorreva programmare la risalita. Ferlaino chiamó Juliano, al terzo ritorno da dirigente e questi si mise alla ricerca del miglior tecnico possibile. 

E fu scelto Renzo Ulivieri. Tecnico di grande esperienza in A e B, aveva fatto benissimo al Perugia, alla Sampdoria, al Vicenza, un po' meno al Cagliari, ma capace di portare il Bologna dalla C alla Zona Uefa. 

I rapporti con la società felsinea si erano incrinati perché, preso Roberto Baggio, lui pensó bene di metterlo varie volte in panchina. Ma a noi non interessava. 

Volevamo un allenatore che ci riportasse subito in A ed applicasse a Napoli il modello Bologna, tanto noi Roberto Baggio neanche ce lo avevamo.

Ulivieri arrivó in auto a Soccavo e trovó tanti tifosi ad accoglierlo neanche fosse un calciatore. C'era grande attesa, la speranza che la risalita avvenisse subito. La coppia Juliano- Ulivieri era inossidabile. L'uno a guidare gli allenamenti, l'altro ad osservare. 

Chiese ed ottenne carta bianca sugli acquisti. Fece arrivare solo giocatori che conosceva. Scapolo, Shalimov, Murgita. 

Si sentiva più sicuro con loro. Ma fu una condanna perché non tutti erano adatti a giocare nel Napoli, sia caratterialmente, sia tecnicamente e fisicamente. Questi tre, ad esempio, neanche si reggevano in piedi. Volle la conferma di Bellucci e Goretti. Si intestardí con il 3-4-3 ("perché mi garba", ripeteva) non adatto alla rosa, soprattutto perché in difesa c'era Baldini centrale tra Daino e Nielsen più esterni che marcatori di ruolo. 

Il Roberto Baggio del Napoli fu per lui Turrini, tecnicamente forse il miglior giocatore della rosa ma puntualmente accantonato senza mai farci capire il perché. Ancora peggio andó a Taglialatela, improvvisamente scomparso  senza motivo (probabilmente per forzare la mano e far prendere Sterchele, altro suo pupillo). In porta alla fine scelse il modesto Mondini. 

Cominciò un percorso a singhiozzo in cui si giocava benino fuori, ma male in casa dove si pareggiava o perdeva. Inizió ad andare in escandescenze. Sentiva troppo l'attesa della città, le responsabilità, il clima del ‘dentro o fuori’ che echeggia nell’aria di Napoli. Così si fece espellere spesso, non le mandava a dire agli arbitri e col suo viso paonazzo prendeva la via degli spogliatoi. 

Poi subentró la confusione. Scarlato centravanti, Facci play maker, un acerbo ed impalpabile Triuzzi titolare, un continuo alternare Scapolo e Shalimov.. Giocatori proposti titolari e poi accantonati, salvo riapparire.. Insomma tutto e di più. 

Tullio Maddaloni da Canale34, emittente locale, inveiva contro di lui. I tifosi erano perplessi. Ferlaino pure ma si vedeva costretto a sopportarlo per tenersi Juliano. Dopo una vergognosa sconfitta casalinga con il Ravenna (dove lui era squalificato ed in panchina c'era il suo secondo... Walter Mazzarri), Ferlaino decise di esonerarlo ma poi tornó indietro quando ci fu una contestazione al pullman dei giocatori diretti a Lecce. 

Si presero Schwoch, Magoni e Lopez. Era in pratica la bocciatura della campagna acquisti pretesa. Lui di rimando chiese Mezzanotti e Vecchiola, giocatori praticamente inutili e mai fatti giocare. 

L'inerzia non cambió, mai tre vittorie di fila,  alcune sconfitte indecorose e tanti, troppi pareggi. 

In conclusione, a sei dalla fine, Ferlaino lo licenzió e Juliano, poverino, da galantuomo rimise il suo mandato a ruota. Missione fallita, squadra affidata a Montefusco e Napoli al nono posto, a 13 punti dalla zona promozione. 

Ulivieri è stato un fallimento totale in un mare di presunzione. Del resto da uno che ha allenato sempre giocatori modesti e poi quando gli è capitato Roberto Baggio lo ha messo in panchina, cosa ti vuoi aspettare?





Il sorprendente Bari di Serie C 1983-84

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Ritrovatosi dopo sei anni nuovamente in Serie C, a seguito della retrocessione nella stagione precedente, il Bari nell'estate del 1983 cambia presidente, con Antonio Matarrese che cede la carica al fratello Vincenzo. Il nuovo direttore sportivo, con Carlo Regalia dimissionario, è Franco Janich proveniente dalla non felice esperienza a Napoli. 

La panchina biancorossa viene affidata al milanese Bruno Bolchi, soprannominato Maciste per la sua imponente stazza e per il temperamento mite.

L'obiettivo della società è ovviamente l'immediato ritorno in serie B. 

Si opera uno sfoltimento della rosa, vengono venduti diversi calciatori e acquistati, fra gli altri, il regista Totò Lopez, tornato al Bari dopo dieci anni, il difensore Cavasin, Paolo Conti, ex portiere della Roma e della Nazionale italiana, e l'attaccante Messina, andato più volte in doppia cifra nelle stagioni precedenti di Serie C1.

Formazione tipo. Paolo Conti in porta, De Trizio libero con Giovanni Loseto stopper, Cavasin e Guastella terzini, Cuccovillo ad agire a protezione della difesa, con ai lati Luciano Sola ed Acerbis (spesso alternato ad Oreste Loseto), quindi Lopez sulla trequarti in appoggio alle punte Messina e Galluzzo, con De Tommasi alternativa. 

Come di consueto, prima del campionato, partono i gironi di Coppa Italia. 

Nel girone preliminare 2, il Bari si piazza secondo a pari merito con la Juventus, passando con essa il turno dopo aver giocato 5 gare a turno secco senza subire sconfitte. In particolare il Bari figura molto bene - pareggio 2-2 - con gli stessi bianconeri allenati da Giovanni Trapattoni, dopo essere passato addirittura in vantaggio per 2-0 e facendosi raggiungere solo negli ultimi 5 minuti.. 

Pareggio anche contro l'altra formazione di A, la Lazio, fermata sullo  0-0. 

I biancorossi concludono la prima metà del campionato in testa alla classifica con 24 punti, a tre lunghezze di distacco dal Taranto, unica sconfitta subita in casa per 0-2 a tavolino contro la Ternana, poi rimasta l'unica dell'intero campionato fra le mura amiche. Quest'incontro era finito 1-0 in favore del Bari, ma ad un quarto d'ora dalla fine della gara il capitano rossoverde Ratti venne colpito da una lattina lanciata dalle gradinate, essendo quindi costretto alla sostituzione. 

La coppia d'attacco Galluzzo-Messina segnava a ripetizione anche se il primo fu poi costretto a tre mesi di stop per infortunio. 

Tra seconda e terza giornata del girone di ritorno i biancorossi disputano il primo turno degli ottavi di finale di Coppa Italia, in casa della Juventus. Vincono incredibilmente 2-1. Il primo goal, al 27º minuto, scaturisce da un passaggio sbagliato da Gentile, da cui Cavasin serve un passaggio a Messina, che va a segno con un rasoterra da limite area spiazzando il portiere juventino Tacconi; dopo il pareggio di Scirea al 65º minuto, nel primo minuto di recupero, allo scadere, il capitano Lopez scavalca Tacconi in uscita realizzando il 2-1 finale.

Nella partita di ritorno allo stadio della Vittoria di Bari, i galletti conducono un gioco di rimessa, e vanno in vantaggio con un rigore di Messina. A un primo tempo equilibrato segue un secondo in cui le zebre aumentano la pressione e ribaltano il risultato con Platini e Tardelli. Quando sembrano imminenti i supplementari, al minuto 90º, Lopez, atterrato in area da Scirea, trasforma il rigore decretato e con il 2-2 finale elimina la Vecchia Signora.

Intanto in campionato il Bari procede spedito. La promozione matematica in Serie B è stata sancita nella penultima giornata, vinta 3-1 in casa sul Benevento; i galletti non hanno mai perso la testa della classifica e hanno totalizzato alla fine del torneo 45 punti, rimanendo tre lunghezze sopra il Taranto (anch'esso promosso in cadetteria).  Messina e Galluzzo hanno realizzato rispettivamente 12 e 11 reti, mentre il giovane difensore barese Giovanni Loseto, già fatto esordire nella stagione precedente dal tecnico Gigi Radice, viene considerato il miglior giocatore del campionato. 

Quattro giorni dopo la fine del campionato di C1, ai quarti di finale di Coppa Italia i pugliesi eliminano, con un doppio 2-1 la Fiorentina. 

In semifinale i baresi vengono sconfitti dal Verona di Osvaldo Bagnoli, per effetto di un 1-2 in casa e di un 3-1 in trasferta

Peccato, ma con la soddisfazione di essere stati i primi nella storia del Calcio italiano ad essere giunti in semifinale con una squadra di terza serie. 

In Italia è rimasto un record ineguagliato fino al 2016, quando l'Alessandria di Lega Pro, la terza serie di quegli anni, è approdata in semifinale dopo aver battuto Palermo e Genoa, venendo poi anch'essa eliminata.




ITALIA - FRANCIA 2-1

Esordio azzurro ai Mondiali Argentina 78

2 giugno 1978

Inserita in un gi­rone di ferro con l’Argentina, la Francia e l’Ungheria, la nazionale azzurra è attesa al debutto con la Francia il 2 giugno. Va­gliate le condizioni dei giocatori, e non potendosi avvalere dello squalificato Cuccureddu, Bearzot decide coraggiosamente apportando tre variazioni rispetto alla ultima deludente amichevole con la Jugoslavia. 

Dentro l'esordiente Cabrini al posto di Maldera molto considerato dalla stampa. Quindi il giovane Paolo Rossi al posto di Graziani a far coppia con Bettega. Infine ripropone Antognoni al posto di Zaccarelli. 

Questa la formazione : 

Zoff; Gentile, Cabrini, Benetti, Bellugi, Scirea, Causio, Tar­delli, Rossi, Antognoni, Bettega. 

A disposizione:  Paolo Conti, Maldera, Zaccarelli, Claudio Sala e Graziani. 

Calcio d’avvio, Michel Platini libera Six sulla sinistra. L’attaccante salta Gentile, poi anche l’accorrente Scirea e da fondo campo centra un pallone rientrante sul quale Zoff non tenta l’uscita: al centro Bellugi ha una clamorosa incertezza ed il piccolo Lacombe, con una bellissima deviazione di testa infila la palla in rete. 

Gli azzurri pero si riprendono subito. A destra un Causio vivacissimo, Paolo Rossi crea pericoli per il lento Tresor, mentre Bettega si muove molto bene e l'esordiente Cabrini si inserisce alla sinistra con efficacia. 

Il pubblico, rimasto per un poco in silenzio, per la botta a freddo dei francesi, trova slancio ed è spinto all’entusiasmo proprio dal gioco degli uomini di Bearzot. 

Sulla reazione degli azzurri una punizione di Antognoni ribattuta dalla barriera: mette al centro Causio per Bettega che tenta la conclusione, ma è stoppato da Tresor. Le repliche del transalpini si fanno sempre più rade, impostate soprattutto su Six, un giocatore dalle notevoli qualità e piuttosto imprevedibile. La pressione degli azzurri non si interrompe, tenta Bettega al 23′ di scattare sulla sinistra, ma è messo a terra e sulla punizione di Causio è ancora Roberto a cercare la deviazione di testa, ma la palla è troppo alta.

Il pareggio si concretizza al 29′ al termine di una azione convulsa e confusa. Lancio di Gentile dalla destra, rimessa al centro di Cabrini, Causio devia di testa la palla contro il montante alto, Tardelli ricaccia la palla dentro ma lo stesso Causio, inavvertitamente, respinge la palla Indietro; Rossi, rapidissimo, segna il punto del pari.

Galvanizzato, Pablito si lancia ancora in avanti con decisione su suggerimento di Antognoni. Il suo spunto è splendido, come il suo cross, ma Benetti, pur potendo prendere la mira, schiaccia la palla troppo centralmente tra le braccia del portiere.

Gli azzurri si ripresentano in campo con Zaccarelli al posto di Antognoni e mai cambio è stato più fortunato. Al 7′, dopo una serie di schermaglie a centrocampo, Paolo Rossi difende bene una palla sui tre quarti e lancia Gentile sulla destra. Il cross del terzino, rientrante, sfugge allo stesso Rossi ma è raccolto, al limite dell’area, da Zaccarelli che girato a rete con decisione di mezzo volo. La palla, colpita di destro con forza, si infila bassa sulla sinistra di Bertrand-Demanes. Siamo 2 a 1.

Veementi attacchi francesi. 

Alla mezz’ora, gli azzurri capiscono di non poter continuare a difendere soltanto Il 2-1 e spostano il gioco nella metà campo avversarla, grazie soprattutto alla spinta potente di Gentile e di Cabrini sulle fasce laterali. Al termine di un’avanzata condotta da Zaccarelli sulla sinistra, la palla, dopo un batti e ribatti, finisce a Paolo Rossi, il quale però si trova troppo sul fondo e non riesce a concludere. 

Mancano cinque minuti alla fine e i transalpini tentano il tutto per tutto. Prima si fa pericoloso Berdoll con una botta alta alla sinistra di Zoff, quindi un fendente dell’avanzante Bossis termina sul fondo sfiorando il montante della porta azzurra. Ancora due angoli e ancora mischie. ,

Per gli azzurri c’è ancora spazio per trovare la forza e lo spazio di un ultimo contropiede partitiye poi concluso da Causio.




ITALIA HAITI  1974 ⚽️ Rivera e Mazzola allontanano l’incubo di una «nuova Corea»

Dopo un primo tempo passato a difendersi gli antillani vanno in vantaggio al 1′ della ripresa con Sanon: è la doccia fredda

È stato più laborioso del previsto, ma alla fine, come era abbondantemente scontato, la Nazionale azzurra è arrivata ad imporre la sua legge. Non è stata una gran bella partita, perché giocare buon football, quando l’avversario fa soltanto velleitaria confusione, e fatalmente ti trascina su quel piano, è praticamente impossibile, ma piacevole si. Quattro gol e mille episodi thrilling sono infatti largamente bastati a tener desto l’interesse. Gli azzurri, senza mai la necessità di doversi superare se non nei sofferti sette minuti del loro svantaggio, hanno giocato una partita dignitosa, pur concedendo che la limitata consistenza tecnica dell’avversario non può dar luogo a un attendibile test in previsione dei prossimi decisivi match con Argentina e Polonia.S’è forse pasticciato qualche volta in difesa, dove segnatamente Spinosi ha sofferto il dinamismo imprevedibile di Sanon, ottimo palleggiatore e tiratore di buona efficacia.

Hanno comunque tutti l’alibi d’aver in pratica sempre dovuto intervenire… a freddo per i lunghi periodi di inattività. A centrocampo, ripetiamo, tutti su un piano più che dignitoso (Rivera e Mazzola soprattutto non fosse, proprio loro che a Middlesbrough «c’erano» sentivano forse tutto il peso dell’incubo coreano) anche se sovente si è esagerato nell’impostare ad ogni costo il gioco su Riva. Il quale Riva dal canto suo, in palla e in fiato più di quel che si temesse, ha denunciato qualche titubanza e qualche imprecisione nei guizzi decisivi. Sempre Riva, comunque. Quanto ad Anastasi, basta giusto «spiegarlo» il suo magnifico goal. Di Haiti s’è visto quel che tutto si sapeva: buone individualità (il portiere Francillon soprattutto, Bayonne, Joseph, Vorbe e Sanon) e poco, o niente, d’altro.

E poiché il tempo stringe, passiamo subito alla cronaca. La giornata, contro ogni attesa, è bellissima: il sole, finalmente e i colori dell’estate. Lo stadio olimpico è forse cornice eccessiva per questo Italia-Haiti che apre senza molte pretese tecniche la fetta bavarese dei «mondiali» e gli spalti dunque non traboccano. L’entusiasmo degli italiani comunque non ha limiti e i drappi tricolori sventolano un po’ dovunque. In pratica è come se fossimo all’Olimpico di Roma. Facce e dialetti nostri. Trombe, campanacci e petardi giusto come il nostro tifo esige. Una banda militare rallegra come al solito l’attesa. All’annuncio delle formazioni, un boato per ogni nome italiano e fischi, manco a dirlo, per i centroamericani. Quando dal corridoio sotto la tribuna principale sbucano gli azzurri, per l’occasione in completo bianco con striscia pettorale, il rosso, il bianco e il verde delle bandiere si confondono in un frenetico cocktail.

I preliminari sono brevi, l’avvio in perfetto orario. Battuta d’inizio ad Haiti, in rosso folletto. Breve fase d’ambientamento, poi gli azzurri escono allo scoperto e la partita si delinea. Il suo filone conduttore cioè è già saldamente nelle mani di Rivera e compagni. La manovra azzurra si stende semplice a chiara sulla destra dove, una volta Capello e una Mazzola costruiscono ottime palle per Riva, prima bloccato sullo scatto da Bayonne e poi anticipato in tuffo da Francillon. Sempre gli azzurri in serpa e all’8′, una saetta di Mazzola a conclusione di un bel dialogo con Facchetti prende in pieno petto il bravo portierino haitiano che, due minuti dopo, si supera deviando in plastico volo un tiro teso di Facchetti da «fuori»: in leggero ritardo Riva sulla deviazione. Il match non sembra avere storia, ma il gioco, che poggia quasi esclusivamente sul bomber sardo diventa alle volte stucchevole nelle sue trame… obbligate. Gli haitiani, per il momento, si limitano a una diligente difesa, ma il sospetto che non sappiano fare gran che d’altro prende corpo. Anche nelle marcature, del resto, se si eccettuano quelle di Bayonne su Riva e di Nazaire su Chinaglia tutto è molto approssimato: zelo, impegno, ottima preparazione atletica, ma quanto a geometria e a organizzazione tattica siamo all’ABC. Al 16′ comunque all’abc è anche Chinaglia che in perfetta e assoluta solitudine, sbaglia in modo clamoroso una deliziosa palla-gol servitagli da Riva. Al 22′ è invece il Gigi, spedito magistralmente a rete da Rivera, a insistere nel dribbling per liberare a colpo sicuro il sinistro finché Bayonne e Joseph lo bloccano con le buone o le cattive.

Ormai siamo al forcing, magari non insistito nei toni, giusto per tener lontano l’orgasmo, ma evidentissimo nella sostanza. Si gioca in una sola metà campo e Rivera, Mazzola e Facchetti portano sotto palloni in tutta tranquillità. La opposizione, è vero, è pressoché nulla e non approfittarne sarebbe da… lapidazione. Proprio Facchetti, al 26′ crossa da sinistra una palla che sorvola tutta l’area e finisce precisa e puntuale sulla testa di Riva che incorna in tuffo: bravissimo ancora Francillon a dire no. Il solo pericolo dunque sembra quello che in un’area eccessivamente affollata non si riesca a trarre il ragno dal buco. Qualche contropiede tra l’altro, i negretti si azzardano a tentarne; uno che mette giusto in allarme Morini e Spinosi, potrebbe anche propiziare la beffa che non t’aspetti. Il gol che rompe il ghiaccio sembrerebbe cosa fatta al 33′ su una gran legnata di Mazzola dal limite, ma ancora una volta Francillon è irremovibile: disco rosso per tutti.

Sono dieci diavoletti, nella loro metà campo che sembrano moltiplicarsi, e nei corridoi della manovra azzurra uno al momento giusto, riesce sempre ad intrufolarsi. Parlare di partita vera e propria non ha più senso; meraviglia solo che Riva e C. non riescano a trovare la chiave per far saltare il bunker. Gli è che non si gioca sulle fasce esterne e ammucchiandosi al centro, uno sui piedi dell’altro, non si fa che favorire il lavoro di Bayonne, Joseph, Nazaire e compagni. Bussa e ribussa il gol — quasi — giunge… dall’altra parte: è bravissimo infatti Zoff a deviare d’intuito in tuffo una fucilata improvvisa in diagonale di Vorbe. Si ritorna subito nei paraggi di Francillon, ma prima Riva di testa, poi Facchetti con un gran tiro in corsa, bruciano due possibili palle-gol. Cosi è. Per intanto, se ne vadano pure tutti a riordinare le idee negli spogliatoi.

Si riprende, e la beffa che si paventava, nel breve spazio di 49″, assume l’aspetto, e le forme, per i tanti italiani amari, della realtà: Vorbe imposta la rapida azione di rimessa e serve in verticale Sanon, che «salta» Spinosi, resiste ai suoi tentativi di aggancio e fa secco in diagonale l’incolpevole Zoff che vede così crollare dopo 1.133 minuti la sua imbattibilità. Il pubblico di parte non italiana è, come si può capire, tutto pubblico di parte avversa. E cosi esulta con incredibile gioia e colorato sarcasmo. La sua gioia e il suo sarcasmo durano però poco, lo spazio breve di sette minuti, quanto basta per dissolvere fra gli italiani l’incubo ricorrente di una nuova Corea. Mazzola centra da destra, Chinaglia nella ressa di centro-area tocca indietro a Rivera che azzecca il tiro e lo spiraglio giusti: 1-1 e la partita torna sui suoi binari. Anche Barthelemy, infatti, che ha rilevato Saint Vil rimasto negli spogliatoi, s’arrocca spesso con i suoi a difesa. Gli attacchi azzurri si succedono con metodica insistenza, ed è in questa fase particolarmente attivo Mazzola che rifinisce ottime palle per Riva e per Chinaglia. Le conclusioni, però, ora per un motivo ora per l’altro, non trovano mai l’attimo giusto o il quid propizio. Non c’è comunque che da attendere e, al 19′ la dea bendata mostra finalmente il suo volto aperto e sorridente: Benetti calcia da una trentina di metri quello che dovrebbe essere un pallone senza troppe pretese e che invece, complice una deviazione galeotta di Auguste, si trasforma nella palla del 2-1.

Insistono gli azzurri e, un paio di minuti dopo, Chinaglia sbaglia in modo vistoso il passaggio-gol a Riva appostato in posizione di sparo a due metri da Francillon che pur con qualche concessione di troppo alla teatralità, non sbaglia un intervento. Al 24′ Valcareggi richiama Chinaglia e gioca la carta Anastasi, la carta cioè della frenesia e della imprevedibilità. Comunque, è una fase, questa, in cui gli azzurri sembrano voler tirare il fiato (o sono agli spiccioli?) e i rossi ne approfittano per vedere di tessere a centrocampo qualche passabile trama: sono però sempre, invece, spunti isolati or di questo or di quello a tenere banco.

Fuochi di paglia ad ogni modo perché proprio Anastasi, al 34′ toglie loro ogni velleità: Mazzola-Riva-Pietruzzo, due passi in corsa, la mira, poi un gran destro di tutta punta che si infila violento e preciso nello stretto spiraglio tra palo e portiere. Fin nel centro di Monaco, non c’è dubbio, avran sentito gli hurrà degli italiani. Adesso, soddisfatto, c’è già chi sfolla. Sono gli ultimi minuti ormai e la partita quel che doveva dire ha detto. Contro l’Argentina, mercoledì a Stoccarda sarà certo un’altra cosa, ma è per intanto motivo di non poca soddisfazione il fatto che questi «mondiali» siano quantomeno nati sotto buoni auspici. Poi si vedrà.

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