venerdì 4 aprile 2025

Super-Calcio del 04-04-2025

 


MARCELLO LIPPI

"In nerazzurro non ero ben visto perché difendevo la mia juventinità, questo per loro non andava bene. 

Ad Appiano non feci molto bene, nessuno accettava il mio modo di giocare. 

A Torino ho vinto perché lavoravamo più e meglio di tutti.

In carriera ci sono alti e bassi. 

Ho avuto tantissimi alti, l'Inter è un basso, come altri che ho avuto. 

Il perché non è più importante: era una grande squadra, un grande ambiente, ma non è andata benissimo, tutto qua". 

MARCELLO LIPPI ricorda la sua avventura all'Inter


PAOLO MALDINI

"Mio padre non mi ha mai spinto, né ha preteso per me scorciatoie.

A 10 anni arrivo al Milan e il tecnico gli chiede: 'Signor Maldini, dove lo faccio giocare?'.

'Ah, non so, veda lei', disse, e andò in un angolo della tribuna, il più lontano possibile dal campo.

Mio padre diceva: “comportati bene, sii onesto, impegnati sempre al massimo e il 90% è fatto”.

Ora invece è tutto più difficile: ci sono ragazzi che a 13 anni hanno il procuratore e lo sponsor tecnico, ci sono genitori convinti di avere in casa il nuovo Messi, e gli scaricano sulle spalle le loro aspettative, ci sono allenatori che pensano solo alla classifica e non alla crescita mentale del ragazzo, che magari arriva da lontano e non ha il sostegno della famiglia...

La voce di "figlio di" mi ha accompagnato fino alla prima squadra.

'Giochi solo perché sei il figlio di Maldini', voci di avversari, ma anche di genitori dei miei compagni.

Non è stato facile, ma alla fine penso di essermela cavata bene.

Mi piace ricordare mio padre, che sapeva essere sempre ironico, con una frase bellissima: 'Lui non è più il figlio di Cesare, io sono diventato il padre di Paolo'."

PAOLO MALDINI


ANDREA PIRLO


"La stanza numero 205 di Coverciano, spartana, fatta di due letti

singoli, un bagnetto e un terrazzino è stata la camera dei segreti, prima da condividere con Nesta e poi con De Rossi, i due estremi della romanità. Laziale Sandrino, romanista Daniele, in Germania uniti da una sofferenza interiore difficile da gestire. Ci abbiamo provato insieme, noi tre e basta. Nesta si è infortunato subito, contro la Repubblica Ceca nel girone eliminatorio. Quanti

pianti, quante tensioni, era mezzo esaurito e si rifiutava di parlare con chiunque, a parte noi. Lippi ogni tanto ci lasciava la serata libera, lo portavamo fuori a cena, tentavamo in tutti i modi di farlo distrarre, eppure lui continuava a ripetere una

frase: "Non mi sento parte di questa squadra, mi faccio sempre male". Una volta dovevamo tornare in macchina da Düsseldorf, la prima città nelle vicinanze del nostro ritiro di Duisburg, guidava lui (c'era anche Barzagli). In autostrada prima

io e poi Daniele, dal nulla, abbiamo urlato la stessa cosa: "Stai sbagliando strada, devi uscire qui, ad Ausfahrt".

"Ma..."

"Ma cosa? Esci Sandrino. Esci."

"Siete sicuri?"

"Certo che lo siamo. Esci, esci subito, sennò torniamo in ritardo e ci tocca pagare una multa."

Con una mossa spericolata, tipo passando da cento all'ora a zero in cinque secondi, con frenata secca seguita da una sterzata verso una curva a gomito, ha seguito le nostre indicazioni. Ovviamente ci siamo ritrovati in un posto spettrale, senza luci, con campi tutto intorno, tipo quelli di Grano rosso sangue, il peggior

film che abbia mai visto. Ci eravamo persi. Io e Daniele ridevamo, Nesta si preoccupava: "Ma cosa cazzo c'avrete mai da ridere, e adesso come torniamo indietro?".

"Sandrino..."

"Porca puttana, già leggo sui giornali tutti i giorni che perdo i pezzi, ora scriveranno anche che sono il primo calciatore italiano disperso nella storia del Mondiale."

"Sandrino..."

"Aò, ma 'ndo cazzo siamo finiti?"

"Sandrino..."

"Ma la smettete di ridere? Cosa volete?"

"Sandrino, ausfahrt in tedesco vuol dire uscita..."

Non ci ha menati altrimenti si sarebbe fatto male anche al braccio, però la voglia c'era. Non pensavo che un essere umano potesse imprecare tanto quanto lui quella notte, però avevamo raggiunto lo scopo: per qualche ora aveva pensato ad altro, si era divertito."

Andrea Pirlo


GAZZA 

"Ero nel mio letto erano le tre o le quattro del mattino e mia moglie mi dice:” C’è qualcuno al piano di sotto”. 

Così, ascoltando, ero abbastanza sicuro che potevo sentire qualcuno al piano di sotto.  Così sono sceso prendendo un ferro da stiro. Vado di sotto e sento rumori provenire dalla cucina. 

Quindi penso: ‘Che cosa ha intenzione di fare qui? Devo solo reagire, qualsiasi cosa accada’. “Quindi apro la porta della cucina e quello che vedo è Paul Gascoigne davanti al mio frigo“, racconta divertito McCoist. “Sono le tre e mezza del mattino e lui non si gira nemmeno, gli dico: ‘Paul, cosa stai facendo?’. Lui nemmeno si gira e mi dice: “Sto facendo un panino”. 

Così gli ho ricordato che erano le tre e mezza del mattino: “Lo so, ma mi sono svegliato e non potevo tornare a dormire, avevo fame e non avevo cibo nel frigo”. 

Quindi gli chiedo come è riuscito a entrare e mi ha risposto così: “Ricordo che tre o quattro settimane fa eri al telefono con la tua signora e le hai detto che avevi lasciato la chiave di riserva in una borsa sotto la quercia, me lo ricordavo e pensavo che sarei venuto usando la tua chiave per fare un panino”. 

Così sono tornato su per le scale e la mia signora mi ha detto: ‘Cosa sta succedendo?’. 

Le ho risposto: ‘Ah, stai tranquilla, è solo Paul che è venuto per farsi un panino’“

ALLY MCOIST, ex nazionale Scozzese




SEEDORF 


"La serie A non è quella che vedete oggi, è quella che il mondo ha conosciuto fra gli anni 90 e la metà degli anni 2000, un posto in cui solo i più forti riuscivano a imporsi e in cui almeno 7-8 squadre erano serie contendenti al titolo. 

Persino la lotta per la UEFA era infuocata. 

In questo grande palcoscenico Juventus e Milan si contendevano il titolo e spadroneggiavano ovunque. Le gare con la Juventus erano molto sentite, nel corso del tempo noi avevamo avuto Dida, Maldini, Nesta, Cafu, Gattuso, il sottoscritto, Kakà, Inzaghi, Shevchenko, loro avevano Buffon, Thuram, Ferrara, Montero, Nedved, Camoranesi, Trezeguet, DelPiero. 

Proprio a proposito di quest'ultimo Carlo Ancelotti era molto preoccupato. "Nedved va fermato con le cattive, Camoranesi con la tattica, Del Piero dovete inventarvi qualcosa, ma state attenti". 

Il mister lo conosceva bene e negli allenamenti alla Juventus lo aveva descritto come disumano, un aggettivo che considero riduttivo. 

Io e Alex siamo amici da un po', c'è rispetto reciproco perché apparteniamo allo stesso tipo di calcio, così diverso da quello attuale, così profondamente più vero. 

Dico sul serio: c'è una grande differenza. In vista delle gare contro la Juventus gli allenamenti raddoppiavano e restavamo fino a tarda serata, con i difensori, a capire come neutralizzarli. 

Sapevo che la Juventus faceva la stessa cosa. 

Allenamenti in serata o cene di squadra in cui si parlava di lavoro e delle strategie di marcatura. 

Sapevo che ad Alex non serviva alcun allenamento, avrebbe potuto presentarsi in gara in ciabatte dopo aver passato una settimana a girarsi i pollici e avrebbe comunque giocato come sapeva, da fenomeno qual era.

 Durante uno dei tanti nostri scontri Ancelotti mi diede il compito di marcarlo a uomo. "Mister, così non posso arrivare al tiro come vuole". "Clarence, del tiro non me ne frega niente, rimonta Del Piero.

 Non devi per forza segnare ogni volta". 

Fu una partita dura. 

Del Piero giocò trequartista, un ruolo non suo, ma stargli più vicino non so se potesse essere considerata una cosa positiva o una maledizione. 

Dopo una palla persa da Pirlo al limite dell'area partì un loro contropiede. Del Piero aggirò il mio movimento con una finta di corpo, andai a vuoto e lo rincorsi per una ventina di metri. 

Mentre stavo per raggiungerlo servì l'assist decisivo. 

Furono i novanta minuti peggiori della mia vita calcistica, quelli passati attaccati ad Alessandro Del Piero. 

Quando lo rivedo i miei primi pensieri vanno ai nostri scontri e a quanto fosse inverosimilmente forte palla al piede".

Cosa ne pensate di queste parole di Clarence Seedorf?



TREZEGUET

"Lo avevo sognato, non una, ma più volte. Ogni volta che chiudevo gli occhi lo vedevo, magari in maniera diversa, ma il risultato non cambiava: palla in rete, abbraccio dei compagni, festa della nostra curva a San Siro.

Si, il gol scudetto lo avrei segnato io, ne ero certo.

Era stata una stagione particolare, prima l'infortunio alla spalla, poi un virus influenzale, poi la botta alla caviglia in nazionale, saltai in pratica mezzo campionato.

Ma in quel 8 Maggio, Milan-Juve con entrambe le squadre appaiate a 76 punti, ero pronto per giocare, era in pratica uno spareggio per il titolo.

Ci apprestavamo a giocarlo senza il nostro miglior giocatore in quel periodo, già perchè Zlatan Ibrahimovic in quel primo anno alla Juve era una forza della natura, impressionante vederlo anche solo in allenamento. Zlatan però doveva scontare l'ultima delle tre giornate di squalifica rimediate contro l'Inter proprio in quella giornata, curioso per una squadra che si diceva controllasse tutto il calcio italiano, sarebbe bastato che l'arbitro De Santis, indagato di esser molto amico di Moggi, nel referto dicesse di aver visto tutto, invece...

Avremmo giocato io e Alex, così il venerdì nello spogliatoio mi lasciai andare a una confessione: "segno io e vinciamo ragazzi".

Poche parole che però scatenarono il putiferio: in pochi secondi molti si lanciarono in gesti scaramantici, qualcun altro, invece, con una pacca sulla spalla mi fece "bella David, dichiarato vale di più". Ma nessuno mi prese per matto, forse per la determinazione con cui lo dissi, forse perchè era giusto crederci. La notizia venne alla ribalta, addirittura sui giornali in prima pagina, ma io ne ero sempre più convinto.

Scesi le scalinate di San Siro quel pomeriggio con grande tranquillità, e poi e andò tutto come previsto, la rovesciata di Alex, il mio gol, la mia esultanza...al minuto 28 lo scudetto numero 28.

I tifosi mi cantavano 'Quando gioca segna sempre Trezeguet', in quel caso sarebbe andato meglio 'quando sogna, segna sempre Trezeguet'..."

DAVID TREZEGUET




Milan, Conceicao col dubbio Reijnders: da valutare per la Fiorentina, Musah recuperato


Seduta di allenamento per il Milan con brutte notizie per il tecnico Sergio Conceicao che ha visto uscire anzitempo dal campo Tijjani Reijnders. Durante la sessione a Milanello in vista della sfida di sabato sera contro la Fiorentina, il centrocampista olandese ha alzato bandiera bianca abbandonando in anticipo il centro sportivo per una indisposizione. Mal di stomaco e ritorno a casa per il 26enne le cui condizioni verranno valutate nella rifinitura di domani per capire se sarà o meno della sfida alla Viola.

Scalpita Yunus Musah, pienamente recuperato e arruolabile a centrocampo. La seduta ha fornito poi spunti per la formazione che si vedrà a San Siro, col tecnico lusitano intenzionato a rilanciare dal 1′ Tomori con Thiaw in difesa. Contro la Fiorentina potrebbe esserci una chance a destra per Chukwueze con Pulisic sulla trequarti e Leao a sinistra alle spalle di Tammy Abraham. Solo panchina, ancora una volta, per Gimenez.



Semplici, rabbia Sampdoria: “Combattiamo contro la paura”


Un derby che vale tanto. La Sampdoria si prepara alla sfida contro lo Spezia per cercare di rialzarsi dopo il ko interno contro il Frosinone. In vista della gara del “Picco”, il tecnico Leonardo Semplici ha parlato in conferenza stampa dal centro sportivo “Gloriano Mugnaini” di Bogliasco.

Settimana difficile dopo il ko contro il Frosinone. Che settimana è stata?

“Abbiamo cercato di compattarci. E’ una sconfitta che ci ha fatto male ma abbiamo analizzato con i ragazzi le motivazioni. Abbiamo cercato di migliorare quello che, secondo noi, abbiamo sbagliato. Abbiamo lavorato anche sui nostri punti di forza dando seguito a quanto fatto fino alla sconfitta contro il Frosinone chiarendo che una partita non deve condizionare il nostro lavoro e il nostro cammino”.


Avete capito cosa è successo sabato scorso?

“Le motivazioni sono diverse ma è giusto tenerle nel nostro spogliatoi e far sì che il nostro spogliatoi non debba accadere. Sono convinto di aver trovare le motivazioni e abbiamo lavorato su queste situazioni per provare a migliorare”.


Questi ragazzi, nella testa, sono consci di quello che sta succedendo?

“Abbiamo la consapevolezza di lottare per la salvezza. Questo è chiaro a tutti. Abbiamo l’obiettivo chiaro in mente, oggi, è la salvezza e quindi stiamo lavorando per fare altri tipi di prestazioni e risultati”.


Il modulo?

“Non è importante il modulo o la mentalità che si mette in campo. Lo spirito e mentalità che mettiamo in campo”.


C’è paura?

“C’è paura e la paura si può affrontare in tre maniere: o scappi, o ti blocchi, o combatti. Noi abbiamo deciso di combattere e dare tutto quello che è nelle nostre possibilità”.


La partita col Frosinone, dal punto di vista mentale, può rappresentare il punto più basso da cui puoi solo risalire?

“Assolutamente sì. Bisogna focalizzare il nostro lavoro anche su questo aspetto. Abbiamo raggiunto il punto più basso, bisogna ‘rimbalzare’ attraverso il lavoro, la quotidianità e quanto fatto fino ad oggi. Io oggi ho due certezze e le ho trasferite ai miei giocatori: il lavoro sul campo, la mia prestazione, la prestazione dei miei giocatori e soprattutto, la seconda, è di avere degli uomini a disposizione che sono convinto che da qui a fine stagione faranno di tutto per arrivare alla fine della stagione con la salvezza. Queste sono le uniche due cose che posso controllare”.


Scenderà in campo chi è meno “fragile”?

“Non ho parlato di fragilità, non ho parlato di pressione ma di mentalità. Ed è quello che voglio dalla mia squadra. Si può perdere, pareggiare o vincere ma con dignità e rispetto della maglia che si indossa. Scenderanno in campo chi in questo momento mi dà le migliori garanzie sotto tutti punti di vista, tecnici, tattici e mentali”


C’è stato qualche rientro degli infortunati?

“C’è solo il rientro di Niang. Riccio e Oudin erano solo contusioni”.


Senti che questa partita può essere decisiva?

Il fatto è che sono qua. Ed è quello che conta. Se avessi letto quello che è stato scritto avrei preso la strada di casa. Vado avanti in maniera convinta per cercare di portare la mia squadra, in questo caso la Sampdoria, alla salvezza”.


Anche lei ha una rabbia da trasmettere in campo?

“Questa delusione va trasformata in rabbia positiva per cercare di reagire anche a livello personale e di orgoglio di non meritarsi questo tipo di classifica. Se si guarda la partita di sabato scorso è tutto da buttare. Se si guardano le partite precedenti questa rabbia si è vista. Anche in dieci e nove ha dimostrato di avere carattere”


Che partita sarà domenica?

“Sarà difficile perché affrontiamo una squadra che sta facendo un grande campionato e con grandi valori. Ci aspetta un ambiente particolare, ne siamo consapevoli. Stiamo studiando l’avversario per fare la partita che dobbiamo”.


In questo momento è meglio affrontare una big?

Vedendo le prestazioni sì. Ma noi sappiamo che affrontiamo, a livello di classifica, tutte meglio di noi. Il nostro approccio, la nostra determinazione devono essere le stesse per cercare di fare più punti dall’inizio alla fine”.


Cosa può determinare questa differenza?

Non è così semplice da individuare la problematica. E’ chiaro che quando la Sampdoria doveva fare la partita, sulla carta, con una squadra più abbordabile abbiamo avuto più difficoltà. Sono cose che stiamo analizzando. Ci sono diverse cause, ma credo che ora bisogna un po’ azzerare tante cose. La sconfitta di sabato ci deve dare un motivo di rivalsa che fino ad ora non c’era stato e far sì che queste sette partite ci diano punti per arrivare alla salvezza”.


Partirete oggi o domani?

“Ancora non l’abbiamo deciso. Oggi ci alleniamo e poi decideremo”.


Percassi insegue Gasperini: “Spero resti all’Atalanta…”


“Speriamo che il mister rimanga con noi”. Ad affermarlo è il presidente Antonio Percassi di fronte a Gian Piero Gasperini, alla squadra e alla numerosissima platea in sala alla ‘prima’ di “Atalanta – Una vita da Dea”, docu-film diretto dal regista Beppe Manzi e che racconta le notti nerazzurre che hanno portato al trionfo di Dublino, narrate dai protagonisti stessi. Un messaggio che anticipa la proiezione e a cui fa eco anche Giorgio Scalvini all’uscita dalla sala: “Sarebbe una cosa nuova per me se il mister dovesse andare via: sono molto legato a lui, ha esaudito i miei sogni e spero che rimanga”.


In sala anche i vertici del calcio italiano, il presidente della Lega Serie A Simonelli e l’ad De Siervo, che hanno definito l’Atalanta “un esempio da seguire”. Presente la rosa al completo (molti giocatori anche con famiglia al seguito), dirigenti nerazzurri e istituzioni, che hanno sfilato sul blue carpet con decine di tifosi affacciati dalle scale mobili di Oriocenter e hanno poi assistito alla proiezione della pellicola, inaugurata con il saluto del regista e del presidente Percassi, che ha sottolineato orgoglioso il legame identitario della società con la città di Bergamo: “Noi siamo l’Atalanta, non dimentichiamolo mai. Abbiamo un programma da rispettare, stiamo nei limiti senza esagerare, ma col nostro sistema riusciamo a combattere con tutte”.

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